Il leasing è un contratto
che nasce dalla prassi negoziale con cui un soggetto, locatore o concedente,
concede il diritto di utilizzare beni mobili o immobili che ha acquistato da un
fornitore ad un soggetto, detto utilizzatore, dietro il versamento di un
corrispettivo periodico in denaro, detto canone.
Il leasing finanziario si
distingue in leasing traslativo e leasing di godimento. La
differenza risiede nella causa del contratto: mentre il primo è volto a
realizzare il trasferimento della proprietà del bene, perché si presume che
esso mantenga un valore costante nel tempo, il leasing di godimento è
finalizzato all'utilizzo del bene, il cui valore viene a degradarsi, esaurirsi
nel tempo di validità del contratto.
Questa distinzione di origine giurisprudenziale incideva sulla
disciplina da applicarsi in caso di risoluzione del contratto a seguito
all'inadempimento dell'utilizzatore. Infatti, mentre per l'inadempimento di un
contratto di leasing finanziario traslativo si considerava applicabile
l'art. 1526 c.c.,[1] la
disciplina applicabile alla risoluzione per inadempimento di leasing di
godimento, erano l'artt. 1453 ss c.c.
La distinzione, tuttavia, è
parzialmente venuta meno grazie alla legge 4 agosto 2017, n. 124, con la quale
il legislatore ha tipizzato nell'ordinamento il leasing finanziario.
Viene dettata, inoltre, una disciplina unitaria per la risoluzione del
contratto di leasing finanziario, non distinguendo più tra leasing di godimento
e traslativo. In particolare all'art. 1, co. 138 della Legge 124/2017 dispone
che: “In
caso di risoluzione del contratto
per l'inadempimento dell'utilizzatore
ai sensi del comma 137, il
concedente ha diritto alla restituzione del
bene ed e'
tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto
ricavato dalla vendita
o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato,
dedotte la somma pari
all'ammontare dei canoni scaduti e non
pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a
scadere, solo in linea capitale, e
del prezzo pattuito
per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto, nonché
le spese anticipate per il recupero
del bene, la stima e la sua conservazione per il
tempo necessario alla
vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del
concedente nei confronti dell'utilizzatore quando il valore realizzato
con la vendita o altra
collocazione del bene
è inferiore all'ammontare
dell'importo dovuto dall'utilizzatore a norma del periodo precedente”. Si fa in
ogni caso salva la norma di cui all'art. 72 quater l. fall., in forza
dell'art. 1, co. 140 Legge 124/2017.
In assenza di una norma che
disciplinasse la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento
dell'utilizzatore, in caso di successivo fallimento dello stesso, e qualora
l'inadempimento si fosse verificato prima dell'entrata in vigore della legge
del 2017, vi era un contrasto tra gli interpreti sull'applicabilità retroattiva
della disciplina in questione. L'orientamento più “conservativo” preferiva
mantenere l'applicazione dell'art. 1526 c.c. nel caso in cui i presupposti
della risoluzione si fossero verificati prima dell'entrata in vigore di tale
legge. Il secondo orientamento, secondo un'interpretazione storico-evolutiva,
preferiva applicare l'art. 72-quater l.fall., anche ai contratti i cui
presupposti risolutivi si erano verificati precedentemente l'entrata in vigore
della legge 124/2017, perché i due interventi del legislatore del 2006 sulla
legge fallimentare con l'art. 72-quater e quello del 2017 con la legge n. 124,
si considerano ispirati dalla stessa intenzione, che avrebbe dovuto guidare l'interpretazione della disciplina da
applicarsi.
Il contrasto è stato risolto
dalle Sezioni Unite con Sentenza 28
gennaio 2021, n. 2061 nel senso di escludere l'applicazione della disciplina
della legge 124/2017 ai contratti per i quali i presupposti della risoluzione
si siano verificati prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi invece
applicare ancora la distinzione tra leasing finanziario di godimento e
traslativo e la conseguente disciplina di cui all'art. 1526 c.c. per il leasing
traslativo. Precisa la Corte, inoltre, che tale disposizione va applicata anche
nel caso in cui alla risoluzione segua il fallimento dell'utilizzatore: non è
possibile l'applicazione analogica dell'art. 72-quater l. fall., perché
il presupposto dello scioglimento del contrato previsto dalla norma da aultimo
citata non è un inadempimento grave, ma la facoltà di recesso attribuita al
curatore fallimentare.
La Corte di Cassazione ha avuto
occasione di enunciare anche anche un secondo principio di diritto: in caso di
fallimento dell'utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore
concorrente ha l'onere di formulare una completa domanda di insinuazione al
passivo ex art. 93 l. fall., in cui dovrà indicare la somma esattamente
ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in
mancanza di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di
mercato del bene medesimo al momento del deposito. In caso di mancata
ottemperanza dell'onere che discende dalle specificazioni di cui all'art. 1,
co. 138 L. n. 124/2017 nel ricorso per l'ammissione allo stato passivo, la
domanda di ammissione potrebbe essere rigettata.
In conclusione, la Cassazione ha delineato la disciplina da applicarsi alla fattispecie in esame, in forza delle regole interpretative di cui all'art. 11 delle Preleggi, nonché secondo i principi di tutela dell'affidamento e certezza del diritto, prevedendo che le norme della legge n. 124/2017 possano essere applicate solo dopo la sua entrata in vigore e definendo precisamente l'ambito di applicazione dell'art. 72-quater l. fall., che è limitato all'ipotesi di scioglimento del contratto di leasing per fallimento.
[1] L'art. 1526 c.c in materia di vendita con riserva di proprietà, applicato analogicamente al leasing traslativo, prevede che, se la risoluzione avviene per inadempimento dell'utilizzatore, il concedente debba restituire i canoni riscossi, salvo un equo indennizzo e il diritto al risarcimento del danno.